News • A 4 mani nella storia
Le serate Girogustando 2023 nelle terre di Siena sono state occasioni di conoscenza anche grazie all'Archivio di Stato di Siena, che ha curato un progetto di ricerca che culmina ogni sera con la consegna in omaggio ai due cuochi protagonisti di altrettante riproduzioni di fonti conservate al suo interno.
In più, per il pubblico di Girogustando, due occasioni (il 28 ottobre e il 16 dicembre 2023) di visita guidata gratuita alla collezione originale delle Biccherne e di una selezione di documenti contenuti negli Statuti della Gabella e l’Abbondanza senesi del Trecento, nella sede dell'Archivio di Stato di Siena. Nella foto un momento della visita svoltasi il 28 ottobre
Ma come nasce questo progetto? Lo spiegano qui sotto i curatori.
SIENA NEL TRECENTO
CIBI E PRODOTTI DAGLI STATUTI DI GABELLA ED ABBONDANZA
All’inizio del Trecento, Siena è la capitale di uno Stato dalla consolidata dimensione europea, con una popolazione di circa 50.000 abitanti che ne faceva una delle maggiori d’Italia. Tale dinamicità si riscontra anche nella ricchezza dei prodotti che giungono alla città. Ne fanno una specifica testimonianza i documenti della Gabella, l’ufficio preposto all’imposta gravante sulle merci in entrata alla Città, e dell’Abbondanza, la magistratura che, con diversi nomi e composizione, controlla l’approvvigionamento alimentare. Queste fonti forniscono un quadro della grande varietà di cibi presenti nelle mense dei cittadini senesi: carni di piccolo e grosso taglio, gli animali della cacciagione minuta, salumi e formaggi pregiati. Considerevole anche il consumo del pesce, in particolare quello di acqua dolce. Il mercato del Campo, inoltre, è particolarmente frequentato da venditori di legumi, cereali, ortaggi, frutta fresca e secca. Notevole è anche il consumo di vino venduto abitualmente a mescita nelle tante taverne cittadine. L’offerta gastronomica senese è ricca, infine, di una grande varietà di spezie orientali, erbe aromatiche locali e dolcificanti largamente impiegati nella preparazione delle pietanze più elaborate.
Il progetto curato da Maurizio Tuliani e realizzato in collaborazione con Cinzia Cardinali e l’Archivio di Stato di Siena presenta una selezione di documenti dagli statuti trecenteschi della Gabella e dell’Abbondanza senese, provenienti dai due fondi archivistici omonimi, caratterizzati da inediti ‘schizzi’ medievali.
Le fonti:
- Pesce. ASSi, Abbondanza, Statuti 3 (1300), libro i rubrica xxviiiia c. viiiir
- Cacciagione. ASSi, Abbondanza, Statuti 3 (1300), libro x rubrica iiiia c. liv
- Salumi e formaggi. ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. viir
- Animali da cortile e uova. ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. xiiir
- Cereali, pane e pasta. ASSi, Abbondanza, Statuti 3 (1300), libro iiii incipit c. xxxiiir
- Legumi. ASSi, Abbondanza, Statuti 3 (1300), libro viii rubrica s.n. c. xivv
- Ortaggi. ASSi, Gabella, Statuti 1 (1298-1313), c. xxxixv
- Frutta. ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. xiv
- Vino. ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. xiiiir
- Spezie ed erbe aromatiche. ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. iiiir
Il progetto è a cura di Maurizio Tuliani e Cinzia Cardinali:
MAURIZIO TULIANI è Dottore di Ricerca in Storia Medievale. Tra i suoi interessi di studio si segnalano quelli legati all’ospitalità professionale, all’alimentazione e al commercio cittadino in età medievale.
CINZIA CARDINALI è archivista specializzata in archivi di enti pubblici e privati ed attualmente Direttore dell’Archivio di Stato di Siena. Tra i suoi interessi di studio si segnala la storia della tradizione documentaria.
SERA PER SERA: I DOCUMENTI RIPRODOTTI
6 GIUGNO: IL PESCE
ASSi, Abbondanza, Statuti 3 a. 1300, libro I rubrica XXVIIIIa c. VIIIIr
Quod nulla persona vendat pisces in civitate qui deferuntur in cestis nisi prius scribantur per Dominos Cabelle
Item quod nulla persona vendat in civitate senarum pisces qui deferunt in cestis ad civitatem senarum nisi orius scribantur per dominos Cabelle. Et si quis in ceperit vendere aliquem seu aliquos pisces de aliqua cesta ante quam scripti sint puniantur in XX solidis denariorum senarum pro qualibet vice […]
Tradotto:
Che nessuna persona venda pesci in Città che vengono portati in ceste se prima non siano stati registrati dai Signori di Gabella
Che nessuna persona venda nella città di Siena i pesci che vengono portati in ceste alla Città se prima non siano registrati dai Signori di Gabella. E se qualcuno dovesse iniziare a vendere alcun pesce di qualsiasi cesta prima che sia registrata sia multato in 20 soldi di denari senesi ogni volta […]
A Siena nel Medioevo il consumo di pesce è estremamente elevato e la vendita attentamente regolamentata dal Comune per la riscossione delle relative imposte. In città arriva sia il pregiato pesce marino, generalmente destinato alle classi più agiate, sia, soprattutto, quello di lago e di fiume che aveva una diffusione più ampia ed era destinato alle fasce più popolari. Il pesce viene venduto nel mercato del Campo durante tutto l’anno, ma le quantità si moltiplicano nei giorni di precetto della carne ordinati dalla Chiesa. Soprattutto durante i quaranta giorni della Quaresima il consumo assume quantità tali che si dedicano alla vendita di pesce anche i tanti carnaioli forzatamente inattivi. Le specie di pesce maggiormente presenti nel mercato cittadino sono tinche, lucci, lasche e soprattutto anguille, quest’ultimo particolarmente pregiato e molto impiegato nella più raffinata gastronomia medievale. Di largo consumo è, poi, il pesce salato, come le aringhe, la sorra e la tonnina, parti di tonno salato particolarmente apprezzate all’epoca, che arrivano e si vendono in barili. Sono conosciuti anche i crostacei ed i molluschi di mare e d'acqua dolce: i fiumi del senese, infatti, sono ricchi di gamberi, in genere consumati lessi, eventualmente accompagnati da salse piccanti. Quanto alle tecniche di cottura dei pesci freschi, lessati erano impiegati per fare il brodo e zuppe leggere o semplicemente consumati con una salsa preparata con spezie; fritti in padella vengono conditi con una salsa composta di olio e vino. Nei ricettari dei cuochi più famosi non mancano preparazioni più elaborate come il pesce “in crosta” cotto al forno con un rivestimento di pasta per pane aromatizzata con erbe.
21 SETTEMBRE: LA CACCIAGIONE
ASSi, Abbondanza, Statuti 3 (1300), libro x rubrica iiiia c. liv
De pena auferenda vendentibus et ementibus aves et lepores in civitate Sena rum ultra quam ordinatum sit infra
Item quod nulla persona in civitate Senarum vendat par starnarum ultra tres solidis denariorum senensi, leporem grossum ultra quatuor solidis denario rum senensis. […]
Della pena da esigere dai venditori e acquirenti di ucelli e lepri nella città di Siena oltre [la cifra] che qui viene indicata
Tradotto:
Che nessuna persona venda nella città di Siena un paio di starne grosse oltre i tre soldi di denari senesi, le lepri grosse oltre i quattro soldi di denari senesi. […]
Nel Medioevo la cacciagione garantisce un approvvigionamento di carne più o meno continuo a molta parte della popolazione. Limitato, al tempo, il consumo di animali oggetto della caccia grossa, un’attività che era prerogativa delle classi sociali più elevate ed elemento di distinzione sociale. La caccia rap presenta per l’aristocrazia una sorta di allenamento alla guerra che si trasforma essenzialmente in un rituale collettivo, strumento per il mantenimento e la riconferma della propria identità. Così, nel 1326, nel menù preparato per il banchetto tenuto nel Campo per festeggiare la nomina a cavaliere di Bandinello Bandinelli si esibiscono tra le portate carni di cinghiale, capriolo e cervo. In città non doveva comunque mancare occasione di consumo di questa selvaggina per i tanti borghesi che avevano buone disponibilità economiche, tanto che la Gabella del 1476 annovera nella lista delle merci soggette ad imposta in entrata alla città caprioli e porci selvatici (cinghiali).
Molto più diffuso è invece il consumo della selvaggina minuta nelle varie e abbondanti specie di cui sono ricchi i territori del senese. Questa cacciagione rappresenta un’importante fonte di alimentazione per gli abitanti del contado e di approvvigionamento per il mercato cittadino. I registri della Gabella di inizio Trecento segnalano come Siena fosse continuamente provvista di anatre lepri, fagiani, starne, quaglie, pavoni, gru, germani, tordi, pernici, merli, cornacchie, tortole e volatili d’ogni genere. Dai prezzi di vendita nel mercato del Campo sappiamo che lepri, fagiani e starne sono le specie più costose sia per la maggiore taglia, sia per l’apprezzamento delle carni. Particolarmente apprezzati i volatili di grosse dimensioni che sono considerati dai cuochi del tempo una prelibatezza, in particolare se cucinati arrosto, e cibo degno delle mense più elevate.
11 OTTOBRE: SALUMI E FORMAGGI
ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. viir
De la carne secca et del cascio et de la grascia et del olio
Carne secca {El quarto de la carne secca i denarium kabella / Et passagio Cascio {El filo del cascio ii denaris kabella / Et passagio ii denaris Cascio {La soma del calcio di vaccha o di bufala o di pecora o del lucardo o del nostrano el quale non sia in filo xviii denaris kabella. Et se non fusse soma d’ogne dodici casci i denarium kabella. Et da inde in giuso non se ne paghi cavelle. Et passagio altretanto.
Tradotto:
[Della gabella] sulla carne secca, formaggio, lardo e olio Carne secca {Il quarto della carne secca i denaro di gabella / E [lo stesso] il passaggio
Cacio {Il filo del formaggio ii denari di gabella / E il passaggio ii denari Cascio {La soma di formaggio di vacca o di bufala o di pecora o di lucardo (marzolino) o del nostrano il quale non sia in filo XVIIIi denari di gabella. E se il carico fosse di dodici formaggi I denaro di gabella. E da lì in giù non si paghi gabella. E lo stesso il passaggio.
Molto diffuso nel Medioevo è il consumo della carne di maiale. Questi animali sono allevati allo stato semibrado nei boschi dove possono nutrirsi autonomamente. Si tratta di suini dalle piccole dimensioni come quella ‘cinta’ che un contadino porta a vendere alla città, illustrata nell’affresco di Ambrogio Lorenzetti negli ‘Effetti del Buongoverno in città’ del palazzo comunale di Siena. Sempre in questo affresco è raffigurata una bottega di pizzicaiolo al cui soffitto sono appesi numerosi salumi a testimonianza di un ampio apprezzamento e consumo della ‘carne secca’, come nel Medioevo venivano chiamati questi prodotti. Le carni suine sono lavorate e conservate con il tradizionale metodo della salatura ed essiccatura, mentre conosciuta ma meno diffusa nel senese è l’affumicatura. Importante anche il consumo del formaggio, alimento molto apprezzato e alla base dell’alimentazione occidentale fin dall'antichità. Il ‘cascio’ si può trovare fresco, semi-stagionato o secco ed è presente sul mercato senese in un’abbondante varietà di tipologie locali e d’importazione. Dai registri di Gabella dei secoli XIV e XV rileviamo la presenza di ‘cascio di vacca, di bufala, di pecora, lucardo e nostrano’ (1304-13114); ‘casei lucardi nostrati, caseus de forma, casei messinensis vel calauriensis’ (1346); ‘cacio di forma, cavallino, cacio d’ogni ragione nostrano, ravaggiuolo’ (1476). Benché apprezzato da tutti, il formaggio, è considerato un cibo popolare. I più poveri lo consumano prevalentemente da solo, mentre le classi sociale più elevate tendono ad utilizzarlo prevalentemente come ingrediente, per condire o insaporire le pietanze. Nei ricettari medievali dei cuochi di corte il formaggio trova applicazione anche come accompagnamento di paste e verdure o come ingrediente di torte o dolciumi.
18 OTTOBRE: ANIMALI DA CORTILE E UOVA
ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. xiiir
De la kabella de polli et de li uccelli et delle lepri
Polli {La soma de polli, oche, anatre, colombi et pipioni xii denaris kabella / Et passagio xii denaris
Tradotto:
Papari {La soma de papari ii solidis kabella / Et passagio ii solidis Pollastri {El paio de pollastri et colombi et pipioni i denarium / Et passagio i denarium
Della gabella sui polli, uccelli e lepri [portati a vendere in Città] Polli {Il carico di polli, oche, anatre, colombi e piccioni xii denari di gabella / E il passaggio xii denari
Paperi {Il carico di paperi ii soldi di gabella / E il passaggio ii soldi Pollastri {Un paio di pollastri e di colombi e piccioni i denaro / E il passaggio i denaro
Il processo di addomesticamento di alcuni volatili è certamente molto antico, ma secondo alcuni studi si sarebbe completato solamente nel corso del Medioevo, quando vengono selezionate quelle tipologie capaci di vivere in spazi ristretti e di deporre uova tutto l’anno. Questo allevamento domestico è, per la sua semplicità e la sua ubicazione nei pressi dell’abitazione, prevalentemente seguito dalle donne e rappresenta, nella piccola economia di sussistenza, una fondamentale risorsa. La carne degli animali da cortile è certamente apprezzata da tutti i livelli sociali come dimostra nel Medioevo la presenza di galline e capponi in numerosi censi signorili e l’ampio utilizzo nei ricettari medievali. A Siena questi animali di bassa corte sono presenti in abbondanza nelle mense di ogni categoria sociale. All’inizio del Trecento, il mercato del sabato che si tiene nel Campo ospita numerosi comitatini giunti per vendere i prodotti del loro allevamento domestico. I registri di Gabella segnalano le tipologie più
diffuse: polli, paperi, capponi, galline, oche, anatre, colombi, piccioni. Strettamente legati all’allevamento di pollame sono la produzione e il consumo di uova, testimoniate come un prodotto continuamente in vendita nel mercato senese del Campo. Diffusissime un po’ in tutte le mense medievali, offrono un apporto nutritivo rilevante tanto da costituire quasi un alimento completo. Le uova vengono consumate in molteplici modi: lesse, sode, fritte e sono molto utilizzate nei ricettari medievali anche come ingrediente per accompagnare carni e verdure oppure per insaporire e colorare altre pietanze.
25 OTTOBRE: CEREALI, PANE E PASTA
ASSi, Abbondanza, Statuti 3 (1300), libro iiii incipit c. xxxiiir
Incipit liber quartus tractans super facto panis venalis et de panicocolis et forneriis et albergatoribus et de omnibus aliis panem facientibus ad venden dum in civitatem et comitatum Senarum
Item statutum et ordinatum est quod dictus iudex habeat offitium super factum panis venalis et super panicocolis et forneriis et omnibus aliis qui panem faciunt ad vendendum in civitate et burgis et comitatu civitatis et maxime ad balnea que sunt in comitatu Senarum […]
Tradotto:
Inizia il libro quarto che tratta della produzione del pane da vendere et dei panicuocoli e fornai e albergatori e di chiunque altro faccia il pane da vendere nella Città e nel contado di Siena Inoltre è statuito e ordinato che il detto giudice [dell’Abbondanza] abbia giurisdizione sulla produzione del pane da vendere e sui panicuocoli e fornai e su chiunque altro faccia il pane da vendere nella città e borghi e nel contado della città e in particolare ai bagni che sono nel contado di Siena […]
Nel Medioevo il generico termine di ‘bladus’ viene utilizzato per indicare tutta la gamma di prodotti della coltura cerealicola. Fra questi il frumento è senz’altro uno dei più diffusi e certamente il più pregiato, ma di largo consumo sono anche l’orzo, la spelta e il farro. L’uso dei cereali nell’alimentazione si lega in maniera preponderante alla produzione delle differenti qualità di farina per la panificazione. Questo si traduce nell’esistenza di varie specie di pane, che vanno dal più pregiato pane bianco, elaborato con la migliore farina di frumento, ai pani ‘secondi’, cioè più scuri, perché fatti con farina di grano e crusca, ai pani di livello inferiore prodotti con mescole di farine meno pregiate come segale, spelta, avena, orzo o con legumi: distinzioni tanto radicate da essere teorizzate anche nei trattati medici che indicano il consumo di pane bianco adatto alla natura dei ricchi, mentre lo scuro a quella dei poveri. A Siena nel Trecento la cottura e la vendita del pane è svolta da diverse figure: i ‘panicuo coli’ che si dedicano esclusivamente a questa attività, i fornai che offrono il servizio di cottura di ogni tipo di alimento e gli albergatori che possono sfruttare i forni presenti nelle loro strutture.
Da rilevare anche l’impiego della farina di grano tenero per la produzione della pasta fresca che si diffonde con modalità di preparazioni simili alle attuali pr prio nel Medioevo. Ampiamente attestate, infatti, sono le paste fresche come lasagne, vermicelli, tortelli e maccheroni.
Le farine di cereali, infine, sono l’elemento base per l’elaborazione di timballi, pasticci, torte e pizze presenti in numerosi ricettari dell’epoca. Così le ‘torte salate’, il cui impasto può essere acquistato già lievitato dai fornai, sono confezionate con ingredienti ghiotti quali formaggio, carni, frattaglie, ortaggi e sono spesso destinate ai convivi speciali ed alle festività.
6 NOVEMBRE: ORTAGGI
ASSi, Gabella, Statuti 1 (1298-1313), c. xxxixv
De cipollis et oleribus ficubus et castaneis et aliis similibus […] Item de qualibet salma ceparum, alleorum sive iiii denaris et si esset media salma ii denaris et de qualibet in carcha ad hominem vel mulierem i denarium et hec cabella colligatur ad portas
Item de qualibet salma holerum conmestibilium quocumque nomine cense antur i denarium
Tradotto:
[Della gabella] delle cipolle, delle verdure, dei fichi, delle castagne e di altre cose simili
[…] E [si delibera] per ogni carico di cipolle, aglio scalogni iiii denari e se fosse mezzo carico ii denari, e per ogni [quantità] portata in carico da uomini o donne i denaro, e questa gabella si raccolga alle porte Inoltre per ogni salma di verdura in foglia commestibile, in qualsiasi modo sia chiamata, i denaro
La facile reperibilità degli ortaggi, coltivabili persino negli spazi verdi dentro le città, e la loro tradizionale presenza nell’alimentazione fin dall’età antica, fanno sì che questi prodotti nel Medioevo siano particolarmente diffusi nelle mense dei senesi soprattutto quelle dei ceti meno abbienti. Sono particolarmente consumati nelle mense popolari il cavolo, considerato per la sua consistenza, quasi un piatto completo e le rape che, per la diffusione di massa, può essere paragonato al ruolo che ha oggi la patata. A Siena, ad inizio Trecento nel mercato del Campo è documentata la presenza di venditori di porri, rape, cavoli, cetrioli, cipolle, scalogna e ogni altro genere di ‘folliame’, ovvero gli ortaggi a foglia verde quali, bietole, spinaci, insalata. Considerato un alimento primario per l’approvvigionamento cittadino delle classi più povere, le autorità cittadine emettono norme finalizzate a tenere bassi i prezzi di vendita e ad impedire operazioni speculative. Ad esempio, il sabato, giorno in cui si recano nel Campo i coltivatori del contado a vendere i loro prodotti, è proibito alle ‘treccole’, le rivenditrici cittadine di ortaggi e frutta, di uscire dalla città per andare incontro ai produttori e comprare tutto il loro carico per rivenderlo a prezzi più elevati in città. Non veri e propri ortaggi, ma pur sempre generi di origine vegetale, i funghi ed i tartufi, prodotti il cui impiego nell'alimentazione medievale è certamente conosciuto. I tartufi sebbene non abbiano nel Medioevo ancora quello status qualitativo raggiunto in epoca moderna, hanno il riconoscimento dei cuochi del tempo che ne declamano le loro proprietà. Similmente i funghi, benché visti con un certo sospetto per la velenosità di alcune specie, sono altrettanto apprezzati in cucina, ingredienti abituali nei ricettari medievali. Un libro di cucina toscano del xiv secolo presenta, così un piatto chiamato ‘funghi di monte’: ‘toglie fungi di monte, e lessali: e gittali via l’acqua, mettili poi a friggere con cipolla tritata minuto, o con bianco di porro, spezie e sale da mangiare’.
21 NOVEMBRE: LEGUMI
ASSi, Abbondanza, Statuti 3 (1300), libro viii rubrica s.n. c. xivv
Que quilibet granaiolus possit vendere extra Campum Fori ordeum et spil tam
Item quod quilibet granaiolus possit in apotheca sua extra Campum Fori posita, vendere ordeum, spiltam, fabas, saginam, panicum, mellium, cicera et alia quecunque legumina […]
Tradotto:
Che qualunque granaiolo possa vendere all’esterno dal Campo orzo e spelta E si delibera che nessun granaiolo possa vendere nella sua bottega esterna al Campo orzo, spelta, fave, saggina, panico, miglio, ceci e altro qualsiasi legume […]
Fin dall’età antica i legumi ebbero un ruolo consolidato nella scala alimentare dei popoli del bacino del Mediterraneo. Considerati un cibo semplice ma nutritivo, divengono insieme agli ortaggi al centro della dieta dei monaci medievali che elevano a virtù spirituale il mangiare alimenti naturali e semplici. La loro valorizzazione come cibo puro e primordiale ricorre abitualmente in ogni testo delle vite dei santi e delle grandi figure dei monaci eremiti che lo associano alla continenza dalla lussuria.
I legumi sono considerati in epoca medievale i migliori alimenti da affiancare o da sostituire ai cereali. Un accostamento derivato anche dalla tipologia di coltura similare, a campo aperto e primaverile, che determina l’alternanza ai cereali nel sistema di rotazione triennale dei terreni e la frequente associazione ai ‘grani minuti’. Nel 1346, infatti, la Gabella senese non indica alcuna distinzione tra i cereali ed i legumi che arrivano in città, come dimostra l’utilizzo di una voce comune ‘bladi sive legumunis’.
Nel Medioevo troviamo attestato l’uso di macinare i legumi e soprattutto la fava ed i ceci e di mischiarli con cereali, secondo un’abitudine alimentare nota fin dall’epoca romana. Rimanda a questa tradizione, quindi, anche a Siena la presenza ad inizio Trecento di particolari venditori di ‘cicera e panicum’ presenti con i loro banchi di vendita nel mercato cittadino del Campo. Quasi tutti i legumi, soprattutto le fave e i piselli, potevano essere consumati verdi, con un po’ di sale ed olio o insaporiti da erbe aromatiche o salse particolari. In genere però, grazie alla loro facile conservazione, vengono essiccati e poi utilizzati in cucina interi o franti. Ceci e fave sono impiegati prevalentemente per la preparazione di minestre o zuppe calde, spesso abbinati agli ortaggi. I legumi, considerati un cibo da poveri, sono presenti sporadicamente nei ricettari dei grandi cuochi medievali ed utilizzati per lo più come ingredienti per completare piatti di carne o come accompagnamenti di altre pietanze solitamente insaporiti dall’aggiunta di spezie.
5 DICEMBRE: VINO
ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. xiiiir
De la kabella del vino et del aceto et della vernaccia et del greco Et qualunque persona di fuore del contato et distrecto et de la iurisdictione di Siena arecharà a vendare ne la città di Siena vino vecchio overo aceto paghi d’ogne soma xii denaris kabella
Et qualunque persona arechasse vino vernaccino nel decto modo per vendare paghi per ciaschuna soma xx solidis kabella
Et se rechasse vino greco a vendare paghi per ciascuna soma x solidis denaris kabella
Tradotto:
Della gabella del vino, dell’aceto, della vernaccia e del greco E qualunque persona esterna al contado, distretto e giurisdizione di Siena porterà a vendere nella città di Siena vino vecchio o aceto paghi per ogni carico xii denari di gabella
E qualunque persona portasse vino vernaccino, nello stesso modo, per vendere paghi per ciascun carico xx soldi di gabella
E se portasse vino greco per vendere paghi per ciascun carico x soldi di denari di gabella
Apprezzato e ampiamente consumato fin dall’antichità, il vino raggiunge nel Medioevo un ruolo di primo piano nel sistema alimentare grazie anche alla straordinaria diffusione della coltura della vite, che ha nell’intera Penisola il suo ambiente naturale.
Nel senese la sua ampia diffusione è testimoniata fin dai primi statuti cittadini del xiii secolo attenti a regolarne la produzione, la vendita e il consumo. Presente nelle tavole di tutte le categorie sociali, viene venduto al minuto un po’ dovunque: negli alberghi, nelle taverne, ma anche nei mercati, nelle botteghe di artigiani, in strada e, occasionalmente, perfino nelle cantine dei privati cittadini. Raramente di qualità eccelsa, certo mediamente molto inferiore alle attuali, il vino presenta una vasta tipologia di rossi, di bianchi, di amabili. A Siena, i registri di Gabella del 1304, offrono una generica testimonianza della varietà di vini consumati in città: oltre alla comune indicazione di vino 'vermiglio e bianco’, troviamo il ‘vino greco’ e il bianco ‘vernaccino’. Decisamente meno pretese ha, comunque, l’uomo del Medioevo che non disdegna di bere l’‘acquarello’, un vino di qualità scadente, leggero ed acido. Alcuni si accontentano di bere perfino l’agresto, vino fatto con l'uva ancora acerba, più comunemente impiegato in cucina per insaporire le pietanze insieme al cosiddetto vino vecchio, oggi noto come aceto. In alcuni casi il vino viene fatto insaporire con spezie, aromi o frutta, una prelibatezza spesso presente nei pranzi speciali e nei banchetti dei signori. Il vino, considerato una bevanda energizzante, è particolarmente apprezzato in medicina per le sue proprietà terapeutiche. Non stupisce, quindi, come dal xiv secolo si trovi abitualmente tra gli alimenti destinati alla dieta per gli infermi e i pellegrini dell’Ospedale Santa Maria della Scala di Siena.
13 DICEMBRE: SPEZIE ED ERBE AROMATICHE
ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. iiiir
Del gruogo et del pepe et del çucharo et di tucte altre cose somelianti da spetiali Gruogo {Di ciascuna libra di gruogo a peso i denarium kabella / Et passagio i denarium
Çucharo {La soma del çucharo et polvare di çucharo iii solidis kabella / Et passagio ii solidis, vi denaris
Pepe {La soma de pepe iiii solidis kabella / Et passagio iiii solidis
Tradotto:
[Della gabella] Dello zafferano, del pepe, dello zucchero e di tutte le altre cose simili per gli speziali
Zafferano {Per ciascuna libbra di croco a peso i denaro di gabella / E il pas sagio i denaro
Çucharo {il carico dello zucchero e dello zucchero in polvere iii soldi di gabella / E il passaggio ii soldi e vi denari
Pepe {Il carico del pepe iiii soldi di gabella / E il passaggio iiii soldi
A partire dall’xi secolo, in concomitanza con le spedizioni dei crociati in Oriente, aumenta in modo consistente la domanda d’importazione delle spezie peraltro già note e apprezzate in epoca romana. Diversi i fattori che portano ad una forte crescita dei consumi: in primo luogo l’aspetto alimentare, per cui le spezie appaiono adatte sia ad esaltare i gusti in cucina sia nella conservazione dei cibi, in particolare delle carni; in secondo luogo, la grossa considerazione di cui godono per la scienza medica che ne proclama le virtù terapeutiche e corroboranti. Accanto alle spezie, d’importazione orientale, pepe, cannella, noce moscata, garofano, senape, prodotti carissimi fuori dalla portata di tutti, importante resta l’impiego delle spezie tradizionali, come il timo, la maggiorana, la salvia, il rosmarino, l’anice, il coriandolo, lo zafferano. Quest’ultimo, chiamato con il termine di ‘gruogo’ o ‘cruoco’, è considerato la spezia locale più pregiata e la sua vendita nel mercato senese del Campo viene regolata fin dalla fine del xiii secolo. All’inizio del Trecento sappiamo dai registri della Gabella senese che sono portati a vendere a Siena ‘gruogo, pepe, et di tucte altre cose somelianti da spetiali’, ‘comino’, ‘garofani’, ‘noci moscharde’. A metà del Quattrocento troviamo ‘anasi crudi, comino, coriandoli’, ‘çaffarano nostrano’, ‘cannella o scaveççoni di cennano’, ‘gruogo’, ‘garofani sodi o a fusti’, ‘gengiovo [zenzero] e fiore di cannella’, ‘noci moscade’, ‘pepe sodo’. Le spezie orientali, più pregiate, sono considerate un alimento alla moda, ed il loro consumo una sorta di status symbol. Non stupisce quindi che siano sempre presenti nelle ricette dei grandi cuochi del tempo, particolarmente per arricchire i piatti forti a base di carne e di pesce. A disposizione di tutti è invece la grande varietà delle erbe aromatiche locali che accompagnano secondo il gusto e la tradizione i piatti di tutte le categorie sociali. Le spezie e le erbe aromatiche sono, poi, la base per la preparazione delle numerose salse che accompagnano molte pietanze medievali. A Siena, ad inizio Trecento, sappiamo che girano per la città particolari venditori di ‘mostarda’, ‘composta’ e ‘salsa verde’.
8 FEBBRAIO 2024: FRUTTA
ASSi, Gabella, Statuti 8 (1300), c. xiv
De le mele et de le pere et de fichi e de le noci e di tucte altre fructa Mele et pere {La soma de le mele et pere et ceragie et fichi et somelianti xii denaris kabella. Et passagio xii denaris / Et di ciascuna gierla de le predecte cose ii denaris kabella. Et passagio altretanto
Fichi {La soma de fichi i solidus kabella / Et se fussero in treccia i solidus kabella / Et passagio ii solidis
Noci {La soma de le noci i solidus kabella / Et passagio ii solidis […]
Tradotto:
delle mele e delle pere e dei fichi e delle noci e di tutta l’altra frutta Mele e pere {il carico delle mele, pere, ciliegie, fichi e simili xii denari di gabella. Il passaggio xii denari / E per ciascuna gerla delle predette cose ii denari di gabella. E il passaggio altrettanto
Fichi {Il carico di fichi i soldo di gabella / E se fossero in treccia i soldo di gabella / E il passaggio ii soldi
Noci {Il carico delle noci i soldo di gabella / E il passaggio ii soldi […]
Il ruolo della frutta nell’alimentazione medievale è senza dubbio di primo piano. Le fonti testimoniano come, a partire dal xiii secolo, la diffusione di alberi da frutta riguardasse in maniera importante l’intera penisola italica. Troviamo tale produzione nei campi aperti, negli spazi chiusi, come vigne ed orti, ma anche nei centri urbani all’interno dei tanti spazi verdi presenti.
A Siena e nel suo territorio il consumo della frutta fresca appare diversificato e rilevante. A partire dal xiii secolo, sappiamo della vendita in città di generi legati alla più tipica produzione locale, come mele, melarance, pere, uva, fichi, melagrane, ciliegie, pesche, prugne, susine, cocomeri, poponi, sia generi di importazione, come aranci, cedri, limoni, lomìe. Diffusissimo è anche il consumo della frutta secca, considerata di alto livello nutritivo e salutare anche dalla medicina e per questo consumata diffusamente anche nelle mense dei ceti più elevati. Buona è la produzione locale di noci, nocciole e fichi secchi che a metà del Trecento arrivano in grossa quantità in Città, così come ripetutamente segnalata nei banchi di vendita sul mercato cittadino è la presenza di nespole, sorbe, nerelle, ghiande. Arrivano probabilmente da fuori, invece, quei ‘pinocchi col guscio fuori da le pine’ (pinoli) e quei datteri che a metà Quattrocento sono tra i generi alimentari in entrata nella Città. A Siena è particolarmente apprezzata la mandorla che trova applicazione diversificata nella gastronomia, accompagnando carni, dando aroma alle zuppe, fungendo da base per numerosi dolciumi come il marzapane e il panpepato. Un discorso a parte merita, infine, la presenza della castagna, frutto dalle straordinarie capacità nutritive da sempre considerato uno dei più importanti cibi delle classi popolari. Nelle aree montane, come l’Amiata, è la principale risorsa alimentare, e spesso sostituisce totalmente i cereali. Troviamo questo frutto impiegato nella preparazione di minestre, pappe, polente e perfino del pane.
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